lunedì 30 settembre 2013

Le Quattro Nobili Verità

L'insegnamento centrale del Buddha, a cui ruotano intorno tutti gli altri, è quello delle Quattro Nobili Verità:

1) La vita comporta sofferenza.
Tutti gli esseri sono soggetti alla vecchiaia, alla malattia e alla morte. Non potremo in nessun modo evitare delusioni, disagi, tristezza, ansietà o dolori.

2) La radice della sofferenza sta nell'intenso desiderio verso i piaceri sensuali, verso l'esistenza, verso la non esistenza o nel volere che le cose siano diverse da quello che sono. Questo desiderio è alimentato da attrazione e avversione, guidate dall'illusione di un "Io" o "mio" che, a sua volta, dipende dall'errata  comprensione della vera natura della realtà.

3) La sofferenza cessa con la cessazione del desiderio.
Questo è l'ottenimento dell'illuminazione, il Nibbana (o Nirvana in sanscrito), il totale abbandono dell'illusione che vi sia un sé o anima durevole e indipendente. Una persona illuminata è chiamata Arahant.

4) L'illuminazione si raggiunge per mezzo di un addestramento graduale, un sentiero chiamato la Via di Mezzo, o Nobile Ottuplice Sentiero.

Il Buddhismo è una religione realistica che si confronta con il fatto che nella vita ci sono molte imperfezioni, ed è anche ottimista in quanto offre una soluzione pratica: l'illuminazione già in questa vita.

Tutte le cose sono originate da una causa e sono in un continuo stato mutevole, di conseguenza sono intrinsecamente incapaci di dare una felicità duratura o una soddisfazione sicura.
Inoltre, il desiderio e l'attaccamento verso qualsiasi forma di esperienza portano al conflitto, alla tensione o alla delusione quando cose, persone o situazioni passano e svaniscono.
Fino a quando si considera la sofferenza come qualcosa di innaturale o anomalo, da temere, evitare o respingere, sarà impossibile sradicarne le cause e vivere una vita veramente felice.
Nella misura in cui si riconosce la sottile e onnipervadente natura della sofferenza, si può accettarla e in tal modo liberarsene.
E' per questo che viene sottolineata l'importanza della riflessione sull'impermanenza, considerata la chiave per la liberazione ultima; quelli che hanno realizzato l'illuminazione costituiscono gli ispiranti esempi di
questa profonda felicità, gentilezza amorevole e compassione.

giovedì 26 settembre 2013

Sāṃkhya: il fondamento filosofico dello Yoga

Sāṃkhya è uno dei sei sistemi filosofici (darśana) cosiddetti ortodossi dell’India, cui si collega tradizionalmente il sistema Yoga, di cui rappresenta il fondamento filosofico.
Kapila, saggio indù vissuto prima del VI secolo a.C., è stato il primo filosofo cui viene attribuita l’esposizione di questa teoria della creazione.
Questo sistema filosofico viene annoverato fra i più antichi dell’India, sebbene la sua trattazione sistematica, cioè la Sāṃkhyakārikā («Succinta esposizione metrica del Sāṃkhya»), attribuibile a Īśvarakṛṣṇa, risalga probabilmente non più in là del 4° sec. d.C. Questo breve ma importantissimo testo fu poi oggetto di numerosi commenti nei secoli successivi.

Non c’è accordo fra gli studiosi circa il significato del termine. Secondo diversi studiosi il  termine sanscrito sāṃkhyā significherebbe "enumerazione", con riferimento alla classificazione dei principi cosmici e individuali, gli elementi fondamentali cui riportare la realtà manifesta. La sua teoria della manifestazione riconosce, infatti, 25 diversi stadi di evoluzione.
Secondo altri, il termine sarebbe composto da sāṃ (perfetto, armonioso, corretto) e khya (conoscenza, saggezza). Quindi si potrebbe tradurre Sāṃkhya in “perfetta conoscenza” dell’intero processo di manifestazione, evoluzione e assimilazione.

Sāṃkhya  è un sistema dualistico e ammette due principi increati ed eterni, diversi fra loro:
  • Prakṛtī: la materia, continuamente mutevole, la causa della creazione costituita da tre elementi fondamentali (gūṇa), dalla cui combinazione traggono origine le forme del creato;
  •  Puruauna infinita moltitudine di anime individuali, eternamente immutabili, ma provvisoriamente legate alla materia e trasmigranti da un corpo all'altro.

Solo la convinzione (raggiungibile mediante la riflessione filosofica o la pratica ascetica) che l’anima è di per sé estranea a ogni dolore e miseria, e del pari alla morte e alla rinascita, può far sì che al sopraggiungere della morte corporea l’anima (puruṣa) si liberi da ogni legame con la materia (prakṛtī), sfuggendo così a una successiva reincarnazione e rimanendo in una condizione eterna di isolamento incosciente.
Nello stato di avyakta "inevoluto", la prakṛti risulta di tre diverse sostanze o costituenti (guṇa) o parti integranti: il sattva "bontà", il rajas "passione", il tamas "tenebra", elementi il cui stato di equilibrio, che si manifesta alla fine di un periodo cosmico, viene rotto dalla forza invisibile (adṛṣṭa) delle opere compiutesi nel periodo precedente, forza di cui causa immediata è la vicinanza delle anime, "che agiscono sulla prakṛti, come la calamita sul ferro".
Dall'eccellere di uno o di un altro dei tre guṇa in lotta fra loro, dipende il carattere peculiare della sostanza pensante e cioè: 
  • bontà, virtù, gioia o leggerezza, luminosità (sattva ); 
  • attività, passione, dolore o forza, movimento (rajas); 
  • paura, incoscienza, stoltezza, malvagità o pesantezza e tenebra (tamas).

Gli stadî costruttivi della natura nell'evoluto (vyakta) sono determinati dal Sāṃkhya nel modo seguente: considerati i cinque “elementi grossolani" sthūlabhüta (terra, acqua, fuoco, aria, etere),  esso risale ai loro “costituenti sottili" sūksmabhūta (suono, tatto, colore, gusto, odore), lo stadio di sviluppo dei quali ultimi è posseduto dai cinque sensi (organi di percezione: udito, tatto, vista, gusto, odorato), cui si connettono i cinque organi di azione (voce, mani, piedi, apparato di secrezione, apparato di generazione).
Sāṃkhya  fornisce una chiara visione della natura della mente umana, delle sue tre componenti note collettivamente come citta:
  • Buddhi:  l’intelletto,  che ha l'ufficio di discernere, giudicare, decidere
  • Ahaṃkara: il fattore dell'Io, il senso dell'individualità, ciò che produce l'illusione dell'io, l'organo della soggettivazione    
  •  Manas: la mente inferiore, la mente senso-motoria che,  da una parte riceve informazioni dai sensi e dall’altra si muove e agisce in relazione a queste informazioni.
Questi elementi, nel complesso, costituiscono i venticinque diversi stadi di evoluzione: puruṣa, prakṛtī, i tre componenti di citta, i cinque elementi grossolani, i cinque costituenti sottili, i cinque organi di senso e i cinque organi di azione.

Il principale contributo del Sāṃkhya alla filosofia indiana, tuttavia, è la Teoria della causalità.
Essa si basa sulle teorie di Kāryakāranavāda e Satkāryavāda:
  • Kāryakāranavāda è la teoria di causa-effetto (Kārya: effetto, kārana: causa);
  • Satkāryavāda è la teoria secondo cui l’effetto è inerente alla sua causa, ancor prima della sua manifestazione. L’effetto ha quindi la medesima natura della causa (sat: esistenza)
Yoga e il Saṃkhya, hanno come fine quello di voler liberare l'uomo dalla sofferenza insita nella condizione umana e quindi dal ciclo delle rinascite.
Il Sakhya afferma che a tale scopo sia sufficiente la conoscenza metafisica, il riconoscere cioè che esistono due principi ultimi, la materia e lo spirito, e che questi sono in realtà distinti fra loro, essendo lo spirito spettatore puro e passivo delle dinamiche della materia, materia che è ciò di cui siamo fatti, mente e corpo.
La causa della sofferenza è saṃyoga, la sovrapposizione di puruṣa,  pura coscienza, e prakṛtī,  la materia. La causa di questa sovrapposizione è avidyā, l’ignoranza circa la nostra vera natura.

La storia del Buddhismo

Da più di 2500 anni, la religione che oggi conosciamo come buddhismo è stata di fondamentale ispirazione per molte civiltà evolute; una fonte di conquiste culturali altissime e una guida profonda che ha condotto milioni di persone a comprendere lo scopo stesso della vita.
Oggi un gran numero di donne e uomini, provenienti dai più disparati ambienti e in ogni parte del mondo, segue gli insegnamenti del Buddha.


La storia del Buddhismo

La storia del Buddhismo inizia nel VI secolo a.C., con la predicazione di Siddhartha Gautama.
Siddhartha Gautama, l'uomo che sarebbe diventato il Buddha, nacque circa 2600 anni fa, Principe di un piccolo territorio sull'odierno confine indonepalese.
Sebbene fosse cresciuto in una splendida agiatezza e godesse di una posizione aristocratica, nessuna ricchezza materiale e nessun piacere sensuale poté nascondere, agli occhi insolitamente inquisitivi di quel giovane uomo, le imperfezioni della vita. Perciò all'età di 29 anni, lasciò ricchezze e famiglia per andare nelle remote foreste e montagne dell'India nord-orientale alla ricerca di una definitiva risposta ai problemi dell'esistenza. Studiò sotto i maestri religiosi e i filosofi più saggi del suo tempo, imparando tutto ciò che essi furono in grado di insegnargli, ma nessuno di loro riusci a fornire una risposta alle sue domande. Intraprese allora il sentiero impervio dell'auto-mortificazione, arrivando alle punte più estreme di ascetismo, ma sempre inutilmente.
A 35 anni, nel 530 a.C., capi che né l'auto-indulgenza né l'auto-mortificazione lo potevano guidare verso quelle risposte che stava cercando. Cosi, abbandonati questi due estremi, nella notte di luna piena di Maggio, sedendo in un boschetto solitario lungo le rive di un fiume, sotto i rami di quello che oggi è conosciuto come albero dell’Illuminazione (albero della Bodhi), portò la mente a profondi, luminosi e tranquilli stati di meditazione. 
Per mezzo di una straordinaria chiarezza e penetrante acutezza, generata dall'immobilità interiore investigò con profonda attenzione la natura dell'esistenza, la sua causa e la sua cessazione, e contemplando l'essenza della realtà, ottenne il risveglio supremo: l’esperienza dell’IlluminazioneDa quel momento fu conosciuto come il Buddha, il Risvegliato.
Il Buddha conseguì, con la meditazione, livelli sempre maggiori di consapevolezza: afferrò la conoscenza delle Quattro nobili verità e dell'Ottuplice sentiero e visse a quel punto la Grande Illuminazione, che lo liberò per sempre dal ciclo della rinascita (da non confondersi con la dottrina induista della reincarnazione, che fu esplicitamente rigettata con la dottrina del "non Sé", anatman. Per questo nel buddhismo non è corretto parlare di reincarnazione come si fa normalmente nell'induismo, ma di rinascita, piuttosto).

Nel lungo periodo della sua esistenza, la religione si è evoluta adattandosi ai vari Paesi, epoche e culture che ha attraversato; la sua diffusione geografica fu considerevole al punto di aver influenzato in diverse epoche storiche gran parte del continente asiatico.


La storia del Buddhismo, come quella delle maggiori religioni, è anche caratterizzata da numerose correnti di pensiero e scismi, con la formazione di varie scuole; tra queste, le più importanti attualmente esistenti sono la scuola Theravada, le scuole del Mahayana e le scuole Vajrayana.

Le scuole Buddhiste

Il Buddhismo si estinse in India, paese d'origine, approssimativamente attorno al XIV secolo. Tuttavia durante più di 1500 anni di storia il Buddhismo Indiano ha sviluppato indirizzi e interpretazioni diverse, anche estremamente complesse. Le scuole nate nel sub-continente indiano nel corso di questi 1500 anni di storia sono suddivisibili in tre gruppi:
  • Il Buddhismo dei Nikaya, un insieme di scuole buddhiste sorte nei primi secoli dopo la morte del Buddha Sakyamuni che non riconoscevano la canonicità degli insegnamenti riportati nei Prajñaparamita sutra e nel Sutra del Loto, scritture successivamente denominate come sutra Mahayana e che oggi compaiono nel Canone cinese e nel Canone tibetano. Da una di queste scuole del Buddhismo dei Nikaya, la Vibhajyavada, origina l'importante scuola cingalese, tutt'oggi diffusa nel Sud-Est asiatico, denominata Theravada.
  • Il Buddhismo Mahayana o del «Grande Veicolo», sviluppatosi a partire da alcune comunità buddhiste antiche ma con l'accoglimento degli insegnamenti riportati nei Prajñaparamita Sutra e del Sutra del Loto. Buona parte del Buddhismo Indiano a partire dal II secolo fino alla sua scomparsa è rappresentato o influenzato da questa corrente. La quasi totalità delle differenti scuole oggi presenti in Estremo Oriente appartengono a questo Veicolo.
  • Il Buddhismo Tantrico è anch'esso Mahayana, e rappresenta la controparte buddhista di un fenomeno più ampio nelle religioni dell'India, il Tantrismo, che ha influenzato anche l'Induismo. Si sviluppò in seno al Buddhismo Mahayana e ne influenzò profondamente la pratica, almeno dal VI secolo in poi. Anche noto come Mantrayana, la sua forma più organizzata è più conosciuta come Buddhismo Vajrayana o Veicolo del Diamante.  Pressoché tutte le scuole tibetane appartengono oggi a questo Veicolo.


Tra le tradizioni che fuori dall'India hanno avuto una lunga storia e un'evoluzione in parte indipendente ricordiamo:
  • Il Buddhismo Theravada o degli Anziani, in quanto si rifà al Buddhismo delle origini, tuttora presente nei paesi del Sud Est Asiatico (Sri Lanka, Thailandia, Myanmar, Laos, Cambogia e Vietnam)
  • Il Buddhismo cinese, che è storicamente all'origine del Buddhismo Coreano, del Buddhismo Giapponese e di una parte del Buddhismo Vietnamita. Dal Buddhismo giapponese proviene la scuola buddhista Zen.
  •  Il Buddhismo Tibetano praticato in Tibet e in Mongolia e in epoche diverse in Cina, Ladakh, Bhutan, parti del Nepal.
  • Il Buddhismo in Occidente presente negli Stati Uniti, in Europa ma anche in Canada e in Australia