Sāṃkhya è uno dei sei sistemi
filosofici (darśana) cosiddetti ortodossi dell’India, cui si collega
tradizionalmente il sistema Yoga, di cui rappresenta il fondamento filosofico.
Kapila, saggio indù
vissuto prima del VI secolo a.C., è stato il primo filosofo cui viene
attribuita l’esposizione di questa teoria della creazione.
Questo sistema filosofico
viene annoverato fra i più antichi dell’India, sebbene la sua trattazione
sistematica, cioè la Sāṃkhyakārikā («Succinta esposizione metrica del
Sāṃkhya»), attribuibile a Īśvarakṛṣṇa, risalga probabilmente non più in là del
4° sec. d.C. Questo breve ma importantissimo testo fu poi oggetto di numerosi
commenti nei secoli successivi.
Non c’è accordo fra gli
studiosi circa il significato del termine. Secondo diversi studiosi il termine sanscrito sāṃkhyā significherebbe "enumerazione", con
riferimento alla classificazione dei principi cosmici e individuali, gli elementi fondamentali cui riportare la
realtà manifesta. La sua teoria della manifestazione riconosce, infatti, 25
diversi stadi di evoluzione.
Secondo altri, il
termine sarebbe composto da sāṃ (perfetto, armonioso, corretto) e khya
(conoscenza, saggezza). Quindi si potrebbe tradurre Sāṃkhya in “perfetta conoscenza” dell’intero
processo di manifestazione, evoluzione e assimilazione.
Sāṃkhya è un sistema dualistico e ammette due principi
increati ed eterni, diversi fra loro:
- Prakṛtī: la materia, continuamente mutevole, la causa della creazione costituita da tre elementi fondamentali (gūṇa), dalla cui combinazione traggono origine le forme del creato;
- Puruṣa: una infinita moltitudine di anime individuali, eternamente immutabili, ma provvisoriamente legate alla materia e trasmigranti da un corpo all'altro.
Solo la convinzione (raggiungibile mediante la riflessione filosofica o la pratica ascetica) che l’anima è di per sé estranea a ogni dolore e miseria, e del pari alla morte e alla rinascita, può far sì che al sopraggiungere della morte corporea l’anima (puruṣa) si liberi da ogni legame con la materia (prakṛtī), sfuggendo così a una successiva reincarnazione e rimanendo in una condizione eterna di isolamento incosciente.
Nello stato di avyakta
"inevoluto", la prakṛti risulta di tre diverse sostanze o
costituenti (guṇa) o parti integranti: il sattva "bontà",
il rajas "passione", il tamas "tenebra",
elementi il cui stato di equilibrio, che si manifesta alla fine di un periodo
cosmico, viene rotto dalla forza invisibile (adṛṣṭa) delle opere
compiutesi nel periodo precedente, forza di cui causa immediata è la vicinanza
delle anime, "che agiscono sulla prakṛti, come la calamita sul
ferro".
Dall'eccellere di uno o
di un altro dei tre guṇa in lotta fra loro, dipende il carattere
peculiare della sostanza pensante e cioè:
- bontà, virtù, gioia o leggerezza, luminosità (sattva );
- attività, passione, dolore o forza, movimento (rajas);
- paura, incoscienza, stoltezza, malvagità o pesantezza e tenebra (tamas).
Gli stadî
costruttivi della natura nell'evoluto (vyakta) sono determinati dal
Sāṃkhya nel modo seguente: considerati i cinque “elementi grossolani" sthūlabhüta
(terra, acqua, fuoco, aria, etere), esso
risale ai loro “costituenti sottili" sūksmabhūta (suono, tatto,
colore, gusto, odore), lo stadio di sviluppo dei quali ultimi è posseduto dai cinque
sensi (organi di percezione: udito, tatto, vista, gusto, odorato), cui si
connettono i cinque organi di azione (voce, mani, piedi, apparato di
secrezione, apparato di generazione).
Sāṃkhya fornisce
una chiara visione della natura della mente umana, delle sue tre
componenti note collettivamente come citta:
- Buddhi: l’intelletto, che ha l'ufficio di discernere, giudicare, decidere
- Ahaṃkara: il fattore dell'Io, il senso dell'individualità, ciò che produce l'illusione dell'io, l'organo della soggettivazione
- Manas: la mente inferiore, la mente senso-motoria che, da una parte riceve informazioni dai sensi e dall’altra si muove e agisce in relazione a queste informazioni.
Questi elementi, nel
complesso, costituiscono i venticinque diversi stadi di evoluzione: puruṣa,
prakṛtī, i tre componenti di citta, i cinque elementi
grossolani, i cinque costituenti sottili, i cinque organi di senso e i cinque
organi di azione.
Il principale contributo del Sāṃkhya alla filosofia indiana, tuttavia, è la Teoria della causalità.
Essa si basa sulle teorie di Kāryakāranavāda
e Satkāryavāda:
- Kāryakāranavāda è la teoria di causa-effetto (Kārya: effetto, kārana: causa);
- Satkāryavāda è la teoria secondo cui l’effetto è inerente alla sua causa, ancor prima della sua manifestazione. L’effetto ha quindi la medesima natura della causa (sat: esistenza)
Yoga e il Saṃkhya, hanno come fine quello di voler liberare
l'uomo dalla sofferenza insita nella condizione umana e quindi dal ciclo delle
rinascite.
Il Saṃkhya afferma che a tale scopo sia sufficiente la
conoscenza metafisica, il riconoscere cioè che esistono due principi ultimi, la
materia e lo spirito, e che questi sono in realtà distinti fra loro, essendo lo
spirito spettatore puro e passivo delle dinamiche della materia, materia che è
ciò di cui siamo fatti, mente e corpo.
La causa della sofferenza è saṃyoga, la sovrapposizione di puruṣa, pura coscienza, e prakṛtī, la materia. La causa di questa
sovrapposizione è avidyā, l’ignoranza circa la nostra vera natura.
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