lunedì 1 maggio 2017

Ashtanga Yoga secondo Patañjali: parte seconda

Approfondiamo ora i cinque Yama e i cinque Niyama

Lo scopo principale di questo codice etico è di eliminare tutti i disturbi mentali ed emotivi che caratterizzano la vita dell’essere umano ordinario. Odio, disonestà, disprezzo, sensualità, possessività, sono alcuni tra i vizi più comuni dell’uomo e finché esso sarà soggetto a questi vizi la sua mente resterà preda di disturbi violenti. Finché tali turbe rimangono, è perfettamente inutile intraprendere lo Yoga più elevato.


YAMA
Il termine Yama deriva dalla radice Yam che significa frenare, controllare. Yama, quindi è l’astinenza che deve essere applicata ai pensieri, alle parole e alle opere.




I cinque Yama sono: Ahiṁsā, Satya, Asteya, Brahmacarya, Aparigrahā

AHIMSA

Ahimsa è l’astensione dal fare violenza. E’ un atteggiamento non violento nei confronti di tutte le creature viventi. Esso è basato sull’unicità della vita.

E’ uno fra i più importanti fondamenti morali della disciplina Yoga. Ahimsa non è solo un corretto comportamento etico sociale, ma una eliminazione totale del seme della violenza che è latente in noi. Per esempio, se una zanzara ci dà fastidio, la non violenza non è il fermare la mano un attimo prima di schiacciare l’insetto, bensì il non aver neanche l’impulso di schiacciarla.

Lo Yogi pratica attivamente Ahimsa perché sa che la violenza produce un Karma che condizionerà negativamente la sua evoluzione spirituale e renderà la sua esistenza un pesante fardello di miserie.

La violenza nasce soprattutto dalla paura, dall’ignoranza e dalla debolezza. Gli atteggiamenti di vendetta, gelosia, disprezzo e odio, generano non solo grosse forze di violenza materiale, ma anche forme più sottili, meno avvertibili e più pericolose, che si manifestano sul piano del conscio e dell’inconscio.

Ahimsa si attua attraverso la discriminazione (Buddhi). Questa facoltà si sviluppa attraverso un lungo tirocinio che consiste nel fare sempre la cosa giusta ad ogni costo. Occorre una continua osservazione della propria mente, delle proprie emozioni, parole ed opere e incominciare a regolarle in accordo con l’ideale della non violenza. Gradualmente questo ideale di non violenza si trasformerà in una vita d’amore positiva e compassione verso ogni creatura.


SATYA

Satya significa “vero”, “reale”, ed è un attributo di Vishnu, esempio e modello di verità.

Satya è l’astenersi dal mentire e va intesa con il significato più ampio che il concetto può dare. Per lo Yogi significa  perseguire l’assoluta verità nel pensiero, nella parola e nell’azione. 

La menzogna disturba in modo fastidioso la nostra mente. Solitamente si fa ricorso alla bugia per evitare difficoltà; in realtà andiamo in contro a difficoltà maggiori dovendo sostenere la menzogna. Questo continuo sostenere la menzogna, determina una tensione nella nostra mente subconscia ed offre terreno fertile ad ogni tipo di turba emotiva.

La pratica di Satya è assolutamente indispensabile se si vuole sviluppare la Buddhi (discernimento). Se il nostro discernimento sarà limpido potremo capire quando un’affermazione veritiera può essere detta e quando no. Essere sinceri non vuol dire esprimere sempre quanto pensiamo. Un’affermazione nociva basata su dei fatti ovvi ma superficiali e temporanei è, nel profondo senso spirituale, una cosa non veritiera.


ASTEYA

Asteya è l’astensione dal prendere ciò che non ci è stato dato  e va esteso a tutte le forme di appropriazione indebita.

Con appropriazione indebita si intende accettare compensi per aver svolto il proprio dovere, accettare lodi, onori, privilegi e apprezzamenti non meritati. Si intende anche non desiderare nulla che non sia nostro. 

Asteya comprende anche l’uso diverso o sbagliato di cose che non ci appartengono, il loro abuso, la loro cattiva conservazione, la loro non restituzione a tempo dovuto.

Occorre essere consapevoli che ogni desiderio, ogni attaccamento è causa di schiavitù e di sofferenza e solo attraverso il distacco si può agire pur restando liberi da ogni vincolo. Eliminando queste tendenze indesiderabili si arriverà a rendere la mente pura e tranquilla.


BRAHMACHARYA

Brahmacharya è uno Yama molto discusso e contestato dalle varie correnti all’interno dello Yoga. Letteralmente significa castità, celibato, ma molti lo interpretano come una pratica moderata dei piaceri sensuali.

Patanjali afferma che se si vuole seguire la via dello Yoga Superiore, i piaceri sensuali devono essere abbandonati. L’energia sessuale è una grande forza che l’uomo ha e che normalmente non controlla. Questa grande energia viene così dissipata impedendo alla consapevolezza di crescere. Reprimere questo tipo di energia sarebbe molto pericoloso. L’energia sessuale deve essere invece sublimata, trasformandola in energia mentale. Per chi pratica il Brahmacharya sono  indispensabili Asana, Kriya e Mudra, che sono i mezzi per il controllo e la trasmutazione di tali energie.

Nell’epoca moderna, all’infuori dall’ordine monastico degli swami,  Brahmacharya viene intesa come disciplina sessuale, rispetto, sacralità dell’atto sessuale.


APARIGRAHA

Aparigraha   è la “non possessività”. Per capire il motivo per cui Aparigraha è importante, bisogna pensare all’influenza negativa che la possessività esercita su di noi. L’impulso ad accumulare beni mondani è così forte nell’uomo che lo si può considerare quasi un istinto fondamentale della vita umana.

Aparigraha non eliminare ciò che materialmente possediamo, ma eliminare le dipendenze che ne possono derivare.

E’ nostro dovere ricercare le cose essenziali che ci permettano di vivere una vita decorosa, ma l’avidità per le cose che in realtà non sono necessarie produce anche gravi conflitti. Basta considerare il tempo, denaro ed energia spesi per accumulare, mantenere e custodire beni superflui; le paure, il dolore, l’ansia costante che crea il timore di perderli, gli attaccamenti, l’egoismo, le gelosie, l’orgoglio che essi producono nell’uso che ne facciamo.

Vivere con animo tranquillo, senza desideri, la mente aperta e in atteggiamento di attesa, accontentandoci di quanto ci offre la vita, secondo la legge del Karma, conduce all’evasione dai limiti dei nostri condizionamenti e a spaziare nell’immensità del tutto.


NIYAMA


Mentre gli Yama sono pratiche di tipo morale, le pratiche del Niyama sono di tipo disciplinare e costruttivo. Essi mirano  ad organizzare la vita in modo proprio. Con i Niyama siamo infatti in grado di affrontare e dissolvere definitivamente le tendenze Karmiche che interferiscono con l’impegno evolutivo del Sadhaka (colui che segue una determinata pratica, sadhana).

I cinque Niyama sono:  śauca, saṁtoṣa, tapas, svādhyāya, Iśvara praṇidhānā.

SAUCA

Saucha è il primo elemento del Niyama e significa purezza.

Il termine “purezza” va riferito non solo al nostro corpo materiale che identifichiamo attraverso i sensi, ma a tutti i cinque Kosha (corpo fisico, vitale, mentale, intellettuale, causale) con il fine di trasmutare gli stati di coscenzialità di questi veicoli dallo stato Tamasico (inerzia, contrazione) a quello Sattvico (espansione, conoscenza).

Il primo corpo che dobbiamo purificare è l’Annamayakosha, o il corpo fisico. Esso si occupa esclusivamente della pura sussistenza fisica. E’ costituito da elementi chimici provenienti dal nutrimento solido, liquido e gassoso, ed alle funzioni metaboliche, perciò viene chiamato “corpo del cibo”. Esso è in relazione con gli altri quattro corpi superiori e da essi viene animato e alimentato di energie Praniche. Le purificazioni legate a questo corpo sono i Shatkarma.

Il secondo corpo da purificare è il Pranamayakosha, o corpo vitale. Esso è costituito dai Prana Vayu (Prana, Samana, Udana, Vyana, Apana, ecc.) i quali operano, attraverso le Nadi, sui vari Kosha producendo tutte le attività vitali, dalla motricità al pensiero.

Per la purificazione del Pranamayakosha, la Sadhana prevede il Pranayama, i Bandha, i Kriya e i Mudra le cui tecniche operano una purificazione e un riequilibrio delle Nadi (circuiti Pranici ).

Il terzo corpo è il Manomayakosha, o corpo mentale o psichico. Esso comporta gli strumenti della percezione e dell’azione e comprende la memoria individuale ed ereditaria, gli istinti caratteriali, tutti i condizionamenti, i complessi, le sensazioni e l’inconscio.

Esso, attraverso i Chakra, governa il corpo Pranico e attraverso questo promuove coscientemente l’attività del corpo fisico.

Le tecniche di purificazione del Manomayakosha fanno parte dell’Antaranga Yoga, o Yoga interiore, a cui si accede solo sotto la guida esperta di un Guru. Kriya, Mantra, Yantra e Dharana fanno parte dell’Antaranga.

Il quarto corpo è il Vijnanamayakosha. E’ lo stato più denso dell’anima individuale incarnata (Jivatman). Di questo corpo fanno parte il mentale o pensiero (Manas) che ha la proprietà di delineare le cose; l’ego (Ahamkara) che ha la proprietà di identificare il corpo nell’io individuale; la sostanza del pensiero (Chitta) che ha la proprietà di memorizzare gli eventi che la stimolano; l’intelletto, il discernimento (Buddhi) che ha la proprietà di discriminare. Esso si trova in stretto rapporto col Manomayakosha e agisce sull’equilibrio delle pulsioni egoiche inconsce, sul controllo degli istinti e sulla coscienzialità del bene del male nel contesto del Dharma Universale (Legge Cosmica).

La Sadhana di purificazione che va aggiunta a quelle che si sono sviluppate precedentemente, è il Dhyana.

L’Anandamayakosha è l’ultimo corpo, quello più sottile e in cui si evidenzia l’aspetto più Sattvico(puro, spirituale) raggiungibile. La sua natura è coscienza pura, pace e beatitudine assoluta (Ananda). Esso cela l’ultima barriera dell’ignoranza (Avidya) che ci divide dalla Coscienza Cosmica (Atman).


SAMTOSHA

Saṁtoṣa viene tradotto con il termine “appagamento” o “accontentamento”. Appagamento non è solo accontentarsi di ciò che si ha, ma è il rinunciare all’attaccamento alle cose che non si hanno.

Questo appagamento non equivale all’inerzia o mancanza di iniziativa, bensì è una condizione mentale positiva e dinamica. Si fonda sull’indifferenza a tutte quelle gioie, comodità ed altre considerazioni di indole personale che influenzano l’umanità. Lo scopo dello Yogi è il conseguimento di quella pace che ci pone completamente al di là del dominio dell’illusione e della miseria.


TAPAS

Il significato di Tapas combina in sé diversi significati, come purificazione, autodisciplina, austerità. Viene tradotto anche coi termini “calore”, ”ardore” prodotti attraverso le pratiche ascetiche e soprattutto la pratica della castità. Il termine racchiude molte pratiche il cui fine è purificare e disciplinare la nostra natura inferiore e sviluppare una ferrea volontà.

Nel senso ortodosso del termine, Tapas viene impiegato per certi esercizi specifici adottati per la purificazione, il controllo del corpo fisico e lo sviluppo della forza di volontà. Fanno parte del Tapas pratiche di digiuno, il silenzio, il Pranayama.


SVADHYAYA

Il termine svādhyāya è composta dalla sillaba Sva che significa “proprio” e dalla parola Adhyaya, che significa “studio”. Pertanto il significato attribuito a questo Niyama e “studio di Sé”. In senso più ristretto, è tradotto anche come studio delle Scritture.

Lo studio dei grandi pensieri di coloro che hanno raggiunto e trovato la Verità stimola la comprensione interiore e accresce la consapevolezza del Sé Supremo. Però non è possibile giungere a qualsiasi affermazione solo in virtù di una semplice, anche se profonda, comprensione intellettuale; infatti è lo studio di sé, attraverso l’introspezione e l’autoanalisi, che si possono realizzare tali affermazioni, perché la Verità non è raggiungibile attraverso un’azione mentale, bensì attraverso l’intuizione che emerge da uno stato di assorbimento in Essa. Per determinare questo stato concentrato di assorbimento è di grande aiuto l’uso dei Mantra come la Gayatri o il Pranava (AUM). Essi armonizzano i veicoli inferiori della coscienza (Kosha o corpi), li rendono sensibili alle vibrazioni più sottili, ed infine determinano una fusione parziale tra la coscienza inferiore e quella superiore.


ISHVARA PRANIDHANA
E’ tradotto con “devozione totale al Supremo”, o “abbandono totale al Supremo”.

Il significatoYogico più razionale che si prefigge  l’ Iśvara praṇidhānā, è che mediante la devozione si libera la coscienza dal condizionamento dell’ego, si dissolvono le barriere che separano l’io individuale dall’Io Supremo e si riconosce l’esistenza e la realtà dell’unico e indifferenziato Io o Assoluto.

L’ Iśvara praṇidhānā è uno dei mezzi che lo Yoga ci fornisce per rimuovere il velo dell’ignoranza. Esso ha lo scopo di dissolvere l’Asmita mediante la fusione sistematica e progressiva della volontà individuale con la volontà di Iśvara, il Puruṣa  Supremo.

La fede in questo contesto rappresenta la forza motrice che aziona la volontà e l’aspirazione, e con l’aspirazione raggiungiamo, attraverso un giusto travaglio di purificazione, di comprensione, di compassione e di amore, la percezione della realtà dell’Atman Pranidhana, o Assoluto, a cui veramente ci dobbiamo consacrare.



Gli Yama e i Niyama rappresentano una condotta di vita in cui la legge dell’astenersi e dell’osservare sono continuamente correlate e inscindibili. Si può senza dubbio affermare che essi sono delle regole universali, vecchie e precise quanto il mondo, da acquisire come virtù naturali, indispensabili anche al di fuori delle concezioni Yoga, per chiunque desideri veramente vivere nella pienezza delle possibilità umane.

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