Approfondiamo ora i cinque Yama e i cinque Niyama
Lo scopo principale di questo codice
etico è di eliminare tutti i
disturbi mentali ed emotivi che caratterizzano la vita dell’essere umano
ordinario. Odio, disonestà, disprezzo, sensualità, possessività, sono alcuni
tra i vizi più comuni dell’uomo e finché esso sarà soggetto a questi vizi la
sua mente resterà preda di disturbi violenti. Finché tali turbe rimangono, è
perfettamente inutile intraprendere lo Yoga più elevato.
Il termine Yama deriva dalla radice Yam che significa frenare, controllare. Yama, quindi è l’astinenza che deve essere applicata ai pensieri, alle parole e alle opere.
I cinque Yama sono: Ahiṁsā, Satya, Asteya,
Brahmacarya, Aparigrahā
AHIMSA
Ahimsa è l’astensione dal fare violenza. E’ un atteggiamento
non violento nei confronti di tutte le creature viventi. Esso è basato sull’unicità
della vita.
E’ uno fra i più importanti fondamenti morali della
disciplina Yoga. Ahimsa non è solo un corretto comportamento
etico sociale, ma una eliminazione totale del seme della violenza che è latente
in noi. Per esempio, se una zanzara ci dà fastidio, la non violenza non è il
fermare la mano un attimo prima di schiacciare l’insetto, bensì il non aver
neanche l’impulso di schiacciarla.
Lo Yogi pratica attivamente Ahimsa perché sa
che la violenza produce un Karma che condizionerà negativamente la
sua evoluzione spirituale e renderà la sua esistenza un pesante fardello di
miserie.
La violenza nasce soprattutto dalla paura, dall’ignoranza e dalla
debolezza. Gli atteggiamenti di vendetta, gelosia, disprezzo e odio, generano
non solo grosse forze di violenza materiale, ma anche forme più sottili, meno
avvertibili e più pericolose, che si manifestano sul piano del conscio e
dell’inconscio.
Ahimsa si attua attraverso la discriminazione (Buddhi).
Questa facoltà si sviluppa attraverso un lungo tirocinio che consiste nel fare
sempre la cosa giusta ad ogni costo. Occorre una continua osservazione della
propria mente, delle proprie emozioni, parole ed opere e incominciare a
regolarle in accordo con l’ideale della non violenza. Gradualmente questo
ideale di non violenza si trasformerà in una vita d’amore positiva e compassione verso ogni creatura.
SATYA
Satya significa “vero”, “reale”, ed è un attributo
di Vishnu, esempio e modello di verità.
Satya è l’astenersi dal mentire e va intesa con il
significato più ampio che il concetto può dare. Per lo Yogi significa
perseguire l’assoluta verità nel pensiero, nella parola e nell’azione.
La menzogna disturba in modo fastidioso la nostra mente.
Solitamente si fa ricorso alla bugia per evitare difficoltà; in realtà andiamo
in contro a difficoltà maggiori dovendo sostenere la menzogna. Questo continuo
sostenere la menzogna, determina una tensione nella nostra mente subconscia ed
offre terreno fertile ad ogni tipo di turba emotiva.
La pratica di Satya è assolutamente indispensabile se si
vuole sviluppare la Buddhi (discernimento). Se il nostro discernimento
sarà limpido potremo capire quando un’affermazione veritiera può essere detta e
quando no. Essere sinceri non vuol dire esprimere sempre quanto pensiamo. Un’affermazione
nociva basata su dei fatti ovvi ma superficiali e temporanei è, nel profondo
senso spirituale, una cosa non veritiera.
ASTEYA
Asteya è l’astensione dal prendere ciò che non ci è stato
dato e va esteso a tutte le forme di appropriazione indebita.
Con appropriazione indebita si intende accettare compensi per aver
svolto il proprio dovere, accettare lodi, onori, privilegi e apprezzamenti non
meritati. Si intende anche non desiderare nulla che non sia nostro.
Asteya comprende anche l’uso diverso o sbagliato di cose che
non ci appartengono, il loro abuso, la loro cattiva conservazione, la loro non
restituzione a tempo dovuto.
Occorre essere consapevoli che ogni desiderio, ogni attaccamento è
causa di schiavitù e di sofferenza e solo attraverso il distacco si può agire
pur restando liberi da ogni vincolo. Eliminando queste tendenze indesiderabili
si arriverà a rendere la mente pura e tranquilla.
BRAHMACHARYA
Brahmacharya è uno Yama molto discusso e contestato
dalle varie correnti all’interno dello Yoga. Letteralmente significa
castità, celibato, ma molti lo interpretano come una pratica moderata dei
piaceri sensuali.
Patanjali afferma che se si vuole seguire la via
dello Yoga Superiore, i piaceri sensuali devono essere abbandonati.
L’energia sessuale è una grande forza che l’uomo ha e che normalmente non
controlla. Questa grande energia viene così dissipata impedendo alla
consapevolezza di crescere. Reprimere questo tipo di energia sarebbe molto
pericoloso. L’energia sessuale deve essere invece sublimata, trasformandola in
energia mentale. Per chi pratica il Brahmacharya sono
indispensabili Asana, Kriya e Mudra, che sono i mezzi
per il controllo e la trasmutazione di tali energie.
Nell’epoca moderna, all’infuori dall’ordine monastico degli
swami, Brahmacharya viene intesa come disciplina sessuale, rispetto,
sacralità dell’atto sessuale.
APARIGRAHA
Aparigraha è la “non possessività”. Per capire il
motivo per cui Aparigraha è importante, bisogna pensare all’influenza
negativa che la possessività esercita su di noi. L’impulso ad accumulare beni
mondani è così forte nell’uomo che lo si può considerare quasi un istinto
fondamentale della vita umana.
Aparigraha non eliminare ciò che materialmente possediamo, ma
eliminare le dipendenze che ne possono derivare.
E’ nostro dovere ricercare le cose essenziali che ci permettano di
vivere una vita decorosa, ma l’avidità per le cose che in realtà non sono
necessarie produce anche gravi conflitti. Basta considerare il tempo, denaro ed
energia spesi per accumulare, mantenere e custodire beni superflui; le paure,
il dolore, l’ansia costante che crea il timore di perderli, gli attaccamenti,
l’egoismo, le gelosie, l’orgoglio che essi producono nell’uso che ne facciamo.
Vivere con animo tranquillo, senza desideri, la mente aperta e in
atteggiamento di attesa, accontentandoci di quanto ci offre la vita, secondo la
legge del Karma, conduce all’evasione dai limiti dei nostri
condizionamenti e a spaziare nell’immensità del tutto.
NIYAMA
Mentre gli Yama sono pratiche di tipo morale, le pratiche
del Niyama sono di tipo disciplinare e costruttivo. Essi mirano
ad organizzare la vita in modo proprio. Con i Niyama siamo
infatti in grado di affrontare e dissolvere definitivamente le
tendenze Karmiche che interferiscono con l’impegno evolutivo
del Sadhaka (colui che segue una determinata pratica, sadhana).
I cinque Niyama sono: śauca, saṁtoṣa, tapas,
svādhyāya, Iśvara praṇidhānā.
SAUCA
Saucha è il primo elemento del Niyama e significa
purezza.
Il termine “purezza” va riferito non solo al nostro corpo
materiale che identifichiamo attraverso i sensi, ma a tutti i
cinque Kosha (corpo fisico, vitale, mentale, intellettuale, causale)
con il fine di trasmutare gli stati di coscenzialità di questi veicoli dallo
stato Tamasico (inerzia, contrazione) a
quello Sattvico (espansione, conoscenza).
Il primo corpo che dobbiamo purificare è l’Annamayakosha, o il
corpo fisico. Esso si occupa esclusivamente della pura sussistenza fisica. E’
costituito da elementi chimici provenienti dal nutrimento solido, liquido e
gassoso, ed alle funzioni metaboliche, perciò viene chiamato “corpo del cibo”.
Esso è in relazione con gli altri quattro corpi superiori e da essi viene
animato e alimentato di energie Praniche. Le purificazioni legate a questo
corpo sono i Shatkarma.
Il secondo corpo da purificare è il Pranamayakosha, o corpo
vitale. Esso è costituito dai Prana Vayu (Prana, Samana, Udana,
Vyana, Apana, ecc.) i quali operano, attraverso le Nadi, sui vari
Kosha producendo tutte le attività vitali, dalla motricità al pensiero.
Per la purificazione del Pranamayakosha,
la Sadhana prevede il Pranayama,
i Bandha, i Kriya e i Mudra le cui tecniche operano una
purificazione e un riequilibrio delle Nadi (circuiti Pranici ).
Il terzo corpo è il Manomayakosha, o corpo mentale o
psichico. Esso comporta gli strumenti della percezione e dell’azione e
comprende la memoria individuale ed ereditaria, gli istinti caratteriali, tutti
i condizionamenti, i complessi, le sensazioni e l’inconscio.
Esso, attraverso i Chakra, governa il corpo Pranico e attraverso questo promuove coscientemente
l’attività del corpo fisico.
Le tecniche di purificazione del Manomayakosha fanno
parte dell’Antaranga Yoga, o Yoga interiore, a cui si accede solo
sotto la guida esperta di un Guru. Kriya, Mantra, Yantra e Dharana fanno
parte dell’Antaranga.
Il quarto corpo è il Vijnanamayakosha. E’ lo stato più denso
dell’anima individuale incarnata (Jivatman). Di questo corpo fanno parte il
mentale o pensiero (Manas) che ha la proprietà di delineare le cose; l’ego
(Ahamkara) che ha la proprietà di identificare il corpo nell’io individuale; la
sostanza del pensiero (Chitta) che ha la proprietà di memorizzare gli eventi
che la stimolano; l’intelletto, il discernimento (Buddhi) che ha la proprietà
di discriminare. Esso si trova in stretto rapporto
col Manomayakosha e agisce sull’equilibrio delle pulsioni egoiche
inconsce, sul controllo degli istinti e sulla coscienzialità del bene del male
nel contesto del Dharma Universale (Legge Cosmica).
La Sadhana di purificazione che va aggiunta a quelle che
si sono sviluppate precedentemente, è il Dhyana.
L’Anandamayakosha è l’ultimo corpo, quello più sottile e in
cui si evidenzia l’aspetto più Sattvico(puro, spirituale) raggiungibile.
La sua natura è coscienza pura, pace e beatitudine assoluta (Ananda). Esso cela
l’ultima barriera dell’ignoranza (Avidya) che ci divide dalla Coscienza Cosmica
(Atman).
SAMTOSHA
Saṁtoṣa viene tradotto con il termine “appagamento” o
“accontentamento”. Appagamento non è solo accontentarsi di ciò che si ha, ma è
il rinunciare all’attaccamento alle cose che non si hanno.
Questo appagamento non equivale all’inerzia o mancanza di
iniziativa, bensì è una condizione mentale positiva e dinamica. Si fonda
sull’indifferenza a tutte quelle gioie, comodità ed altre considerazioni di
indole personale che influenzano l’umanità. Lo scopo dello Yogi è il
conseguimento di quella pace che ci pone completamente al di là del dominio
dell’illusione e della miseria.
TAPAS
Il significato di Tapas combina in sé diversi
significati, come purificazione, autodisciplina, austerità. Viene tradotto
anche coi termini “calore”, ”ardore” prodotti attraverso le pratiche ascetiche
e soprattutto la pratica della castità. Il termine racchiude molte pratiche il
cui fine è purificare e disciplinare la nostra natura inferiore e sviluppare
una ferrea volontà.
Nel senso ortodosso del termine, Tapas viene impiegato per
certi esercizi specifici adottati per la purificazione, il controllo del corpo
fisico e lo sviluppo della forza di volontà. Fanno parte
del Tapas pratiche di digiuno, il silenzio, il Pranayama.
SVADHYAYA
Il termine svādhyāya è composta dalla
sillaba Sva che significa “proprio” e dalla parola Adhyaya, che
significa “studio”. Pertanto il significato attribuito a
questo Niyama e “studio di Sé”. In senso più ristretto, è tradotto
anche come studio delle Scritture.
Lo studio dei grandi pensieri di coloro che hanno raggiunto e
trovato la Verità stimola la comprensione interiore e accresce la
consapevolezza del Sé Supremo. Però non è possibile giungere a qualsiasi
affermazione solo in virtù di una semplice, anche se profonda, comprensione
intellettuale; infatti è lo studio di sé, attraverso l’introspezione e
l’autoanalisi, che si possono realizzare tali affermazioni, perché la Verità
non è raggiungibile attraverso un’azione mentale, bensì attraverso l’intuizione
che emerge da uno stato di assorbimento in Essa. Per determinare questo stato
concentrato di assorbimento è di grande aiuto l’uso dei Mantra come la Gayatri o il
Pranava (AUM). Essi armonizzano i veicoli inferiori della coscienza
(Kosha o corpi), li rendono sensibili alle vibrazioni più sottili, ed
infine determinano una fusione parziale tra la coscienza inferiore e quella
superiore.
ISHVARA PRANIDHANA
E’ tradotto con “devozione totale al Supremo”, o “abbandono totale
al Supremo”.
Il significatoYogico più razionale che si prefigge l’
Iśvara praṇidhānā, è che mediante la devozione si libera la coscienza dal
condizionamento dell’ego, si dissolvono le barriere che separano l’io
individuale dall’Io Supremo e si riconosce l’esistenza e la realtà dell’unico e
indifferenziato Io o Assoluto.
L’ Iśvara praṇidhānā è uno dei mezzi che lo Yoga ci
fornisce per rimuovere il velo dell’ignoranza. Esso ha lo scopo di dissolvere
l’Asmita mediante la fusione sistematica e progressiva della volontà
individuale con la volontà di Iśvara, il Puruṣa Supremo.
La fede in questo contesto rappresenta la forza motrice che aziona
la volontà e l’aspirazione, e con l’aspirazione raggiungiamo, attraverso un
giusto travaglio di purificazione, di comprensione, di compassione e di amore,
la percezione della realtà dell’Atman Pranidhana, o Assoluto, a cui veramente
ci dobbiamo consacrare.
Gli Yama e i Niyama rappresentano una condotta
di vita in cui la legge dell’astenersi e dell’osservare sono continuamente
correlate e inscindibili. Si può senza dubbio affermare che essi sono delle
regole universali, vecchie e precise quanto il mondo, da acquisire come virtù
naturali, indispensabili anche al di fuori delle concezioni Yoga, per chiunque
desideri veramente vivere nella pienezza delle possibilità umane.
Nessun commento:
Posta un commento